Cosa significa credere?

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“Credere”, avere fede, non significa solo sapere che Dio c’è e neanche sapere solo che Gesù è Dio fatto uomo, morto o risorto. Credere significa conversione con la vita (Mt 7,21-27; Mt 11,28-30).
C’è una prima conversione: quando si passa dal non credere al credere. C’è poi una conversione continua, perché è un cammino che deve durare tutta la vita, una crescita continua, in cui la vita si rinnova sempre di più, conformandosi sempre più a Cristo.

Credere è allora “seguire” Cristo (che ci dice anche oggi: “Seguimi!” - Mt 9,9; Mc 1,17; Lc 9,23; Lc 18,22; Gv 2,43; Gv 21,19)

Un uomo che ha fede, che crede, è uno per il quale Cristo non è più un estraneo, una cosa astratta, ma un vivo. Credere vuol dire vivere questa compagnia con Lui, questa apertura a Lui, questa continua relazione con Lui. Da questo nasce la necessità della preghiera: non qualcosa da fare, ma un’amicizia misteriosa e reale con Lui. Solo questo vince la nostra solitudine più profonda, quella che nessuno o nessuna al mondo potrebbe davvero colmare. Ed occorre pregare molto, per sottrarsi alla distrazione, alla dimenticanza, cioè quel vivere come se Lui non ci fosse, come se non fossimo amati da Lui, come se non fossimo suoi. Ed occorre quindi farlo anche quando non ne abbiamo voglia: altrimenti siamo ancora schiavi dello stato d’animo del momento e siamo risucchiati dal vuoto.
Il sacramento (ad esempio la Confessione e Comunione frequenti) è aprire le porte del nostro io a Lui, affinché la Sua forza e la Sua pace possano essere in noi, affinché possiamo essere liberati dal male e vivere sempre più la comunione con Lui. E’ l’inizio dell’eternità beata fin da ora.

L’uomo che ha fede, che crede, che vive in relazione con Cristo, sa che Lui è Dio, che Lui ci ha fatti, che ci conosce più di ogni altro, che sa quello che è il nostro più vero bisogno, al di là di quello che di volta in volta potrebbe sembrarci: Cristo è Verità!
Allora credere è obbedienza: capire che la libertà più vera non è seguire la sensazione del momento, ma seguire sempre più la verità, che Cristo è. Lui è il senso pieno della vita, Lui mi dice il senso vero di ogni cosa della vita.
Occorre allora imparare ogni giorno di più la “verità” che Lui è, che è la verità di noi stessi. E’ una vita nuova, che pian piano può e deve crescere in noi.
Credere è allora una cosa molto concreta: seguire Cristo e la Sua parola in tutte le cose della vita. Non c’è un aspetto della vita che è davvero neutrale: o secondo Cristo, secondo verità, o contro Cristo, che è poi in fondo contro la verità di noi stessi.
L’uomo che ha fede è allora l’uomo impegnato in un cammino di “conversione continua”: una luce che illumina progressivamente tutte le zone della vita. Si tratta di riconoscere ancora il “peccato” che c’è in noi, ma almeno di non volerlo, di non programmarlo, di chiederne perdono, con la fiducia che con la Sua “grazia”, con il Suo aiuto, pian piano sarà vinto e tutta la vita diventerà sempre più nuova.
Occorre abbattere ogni pigrizia (domani farò... e questo domani non arriva mai), ma anche ogni impazienza (non ce la farò mai...): il cammino di santità, che è il cammino della piena verità di me stesso, non è tanto un voler essere più buoni, ma permettere a Cristo, che posso accogliere in me, di trasformare tutta la mia vita.
Alcuni modi sbagliati o riduttivi di intendere la “fede”:

la fede non è solo una serie di atti di culto da fare (preghiera, Messa, ...), ma una comunione personale con Cristo ed un seguirLo in tutte le cose della vita.

la fede non è solo una morale, un insieme di cose da fare o da non fare, ma una vita nuova, la vita di Cristo, che cresce in noi.

La fede parte dalla coscienza, cioè dalla nostra personale interiorità (dove o siamo soli, perché nessuno può entrarvi, o troviamo la compagnia di Dio), ma non deve scadere nel “soggettivismo”. Il farmi ad esempio una fede “a modo mio” sarebbe come illudersi, come un costruirci una risposta che invece viene da Dio. Una fede “fatta come mi pare” sarebbe falsa, cioè poggerebbe su qualcosa di inesistente. Potrebbe anche essere comoda, ma non mi salva. Alla fine della vita, infatti, sarò giudicato non secondo le mie opinioni, ma secondo la verità che è Cristo.

La fede è certamente una personale scoperta e decisione di seguire Cristo, entrando in rapporto con Lui; ma non è “individualista”. Cristo stesso chiama uno per uno, ma crea evidentemente una comunità, un popolo, l’assemblea dei salvati (Chiesa). Da solo corro tra l’altro il rischio sopra descritto di farmi una religione falsa, a modo mio.

La fede non è qualcosa di “parziale”, un part-time che riguarda solo certi momenti della mia vita (ad esempio la Messa); essa coinvolge tutto, perché non c’è nulla di me che non venga illuminato da Cristo nel suo vero significato (ricordiamo: Dio non si sbaglia). Prendere qualcosa e lasciare qualcos’altro, vorrebbe dire non avere ancora capito che Gesù è Dio, che è l’assoluto, il senso ultimo di tutte le cose. Tutto di noi è infatti noto a Lui; e tutto deve essere vissuto secondo verità (almeno cercando di farlo, senza farci altri programmi di vita).

La fede non è solo un sentimento (un sentire), ma prende tutto l’uomo: ragione, volontà e sentimento; spirito, mente e corpo. Occorre dunque impiegare nel cammino tutti questi elementi. Quindi anche il sapere: il ragionare sui contenuti della fede e della morale, per l’affascinante scoperta che la verità è una. Anche la volontà: si segue Cristo se si è capito, ma si capisce sempre di più anche seguendoLo, facendone esperienza; senza lasciarsi catturare dalla voglia o non voglia del momento. Anche il corpo deve essere coinvolto: perché la nostra persona è un’unità, che talora diventa fragile (e non cresciamo in umanità se lasciamo corpo, mente e spirito camminare su strade parallele); per questo anche la nostra affettività e la nostra sessualità deve pian piano essere trasformata dalla grazia di Dio, deve essere purificata dal peccato (altrimenti incide negativamente anche sulla psiche e sullo spirito) e vissuta con verità.

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L'ultima modifica è avvenuta il: 22 dicembre 2003